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Se per qualcuno "precarietà" o
"crisi" sono solo parole, magari da usare in qualche talkshow
televisivo per rimediare qualche voto, per noi sono la sintesi delle nostra
realtà.
Subiamo, ogni giorno, gli effetti di una precarietà che ormai rappresenta la
cifra delle nostre vite, che qualcuno sta tentando ri rubarci.
Correre
di qua e di là nel tentativo di rendere compatibile lavorare e studiare. Essere
costretti a due lavori, magari con chiamata all’ultimo memento (e che importa
se avevi altri programmi), sempre in nero e senza permessi o licenze. Subire
meccanismi di formazione di stampo ormai quasi "industriale", fra
accumolo di crediti e badge elettronici. Non poter passare una serata con gli
amici, perchè non si può stare nelle piazze a bere una birra ed i soldi per un
locale non ci sono. Dover fare salti mortali per andare al cinema od a
teatro, o comprare un disco. Fare i pendolari fra roma e l’hinterland, su
trenini schifosi e pieni come carri bestiame. Essere ridotti a semplici unità
di produzione, sfruttati – corpo e mente – ed usati per il profitto di altri,
sempre piu’ ricchi mentre noi, sul serio, non arriviamo a fine mese – e neanche
spesso possiamo farci di questi conti, perchè lo stipendio non sai quando
e se arriverà e quanto sarà.
L’impossibilità di avere progetti, di
emanciparsi dalle famiglie (se poi a trentanni ancora viviamo con i genitori, o
magari dobbiamo chiedere un aiuto per comprare una macchina, ci dicono anche
che siamo bamboccioni), di sviluppare relazioni sociali, di esprimere le
proprie capacità e sviluppare le proprie affinità, di un minimo di tranquillità
almeno ogni tanto. Una generazione cui hanno provato a togliere il futuro.
Una generazione che era condannata alla
precarietà, e che molti credevano avrebbe accettato qualsiasi cosa – tanto
ormai ci era abituata. Una generazione
di precari, che, invece, si è scoperta, giorno per giorno, ribelle ed
incompatibile. Determinata a riprendersi tutto quello che le spetta.
Le strade, riempite dei nostri corpi e
delle nostre passioni, negli ultimi mesi hanno raccontato anzitutto questo. Vogliamo riprenderci tutto, vogliamo
resistere per vivere, vogliamo sovvertire un sistema sociale che ci sta rubando
la vita.
Oggi i ministri dell’economia dei 14
paesi piu’ industrializzati si stanno incontrando per parlare della
"crisi", e dei "sacrifici" cui vorrebbero sottoporci.
E noi, qui, ancora una volta, rispondiamo
"noi la crisi non la
paghiamo". La crisi la paghi chi ne è causa: le banche, i speculatori,
i padroni, i manager. Non pagheremo noi la crisi, e neppure accetteremo che,
con la "emergenza crisi", vengano giustificati interventi che
peggiorino ancora le nostre condizioni di vita, magari aumentando l’ossessione
di controllo ed usando la paura.
Ma
oggi, qui, raccontiamo alla città, e raccontiamo fra noi, anche la nostra
quotidiana ribellione a quello che hanno tentato e tentano di imporci.
Raccontiamo una storia di riappropriazione, giorno per giorno, centimentro per
centimetro. Una storia collettiva che strappa, con rabbia e gioia, la
possibilità di avere una casa, la possibilità di vedere un film e di passare
una serata assieme, la possibilità di manifestare dove e quando vogliamo in una
città che è per sempre nostra, la possibilità di non pagare i servizi
essenziali (come quello dei trasporti) che le istituzioni non
garantiscono, di vivere in modo almeno decente, di sperare.
Una storia che, dalle recenti occupazioni abitative di giovani precari
(come a portonaccio o centocelle) alle scuole
e facoltà finalmente vissute e aperte, dalle occupazioni delle metro ai cineforum
dei collettivi territoriali, dai pomeriggi nelle ville fino alle iniziative nelle piazze che qualcuno
pensava di poter militarizzare, dice con chiarezza che abbiamo cominciato a
riprenderci tutto, dal basso, assieme, autorganizzandoci.
E se qualcuno, in queste settimane, ha
pensato di farci paura – con le denunce (dall’inaugurazione dell’anno
accademico all’occupazione di via induno, ormai sono centinaia) o con le
manganellate, come la scorsa settimana, ancora una volta ha fatto male i propri
conti, e lo dicono i fatti di tutti i giorni, e lo diranno quello che siamo
intenzionati a continuare a far vivere.
collettivi giovanili di roma contro la precarietà